IL PASTICCIO DELL’ITALIA (e del Mondo): IL PROBLEMA DEL DOMINIO

Pubblicato da Diego Antonio Nesci il

DOMINIO. Questo è il problema. Se non si abbandona la mentalità del DOMINIO, che significa in ultima istanza la sopraffazione dell’”altro”, siamo condannati a ripetere sempre gli stessi errori.
Che noia! E quanta sofferenza!
L’“altro” può essere il tuo partner o uno Stato.
È uguale. Il micro è uguale al macro.
Cosa succede in Europa?
La Germania (incredibile potenza manifatturiera), l’Olanda (non solo un paradiso fiscale) e i loro piccoli satelliti ma soprattutto – ed inspiegabilmente – anche la Francia (cuore politico dell’Europa e unica nazione con piglio imperialista seppur decadente) non vogliono abbandonare la loro posizione attuale di DOMINIO sulle altre nazione d’Europa e quindi la loro posizione di DOMINIO nello scacchiere globale. Questo è tutto. La favola del debito pubblico, dello Stato che è come una famiglia/impresa (e cazzate di questo genere) servono solo come narrazione del DOMINIO DI ALCUNI SU DEGLI ALTRI.
Perché oltre alla cecità egoista degli Stati questa volta c’è un terzo attore molto potente che si intreccia con gli Stati, alcune anche in lotta fra di loro: le Corporation e le loro coorti.
Tutti si giocheranno la propria posizione di forza per ottenere il più possibile dalla crisi.
Questa è la mentalità del DOMINIO. C’è chi vince e c’è chi perde.
La torta non è che non basta per tutti è che tutti la vogliono se è possibile intera.
Siamo lontani dalla vera cooperazione, dalla vera mediazione, da una mentalità win-win direbbero nel XXI secolo.
Chi si trova su una posizione di privilegio non la lascia.
Dal micro al macro. Ci siamo dentro tutti, l’avete capito vero?
La tradizione invece ci insegnerebbe il contrario: se vuoi crescere devi diminuire, devi spogliarti, devi alleggerirti. Ma a nessuno interessa davvero.
Ora, la storia anche solo contemporanea (gli ultimi 200 anni) d’Italia ci dimostra la nostra innata ambiguità. Non è che non abbiamo l’istinto del DOMINIO, non siamo bravi e santi, è che siamo ambigui e non sappiamo mai, fino all’ultimo, dove posizionarci. Abbiamo “i piedi in tante scarpe” da sempre e così facendo alla fine: rimaniamo fregati perché ci freghiamo da soli. Non scegliere è sempre un errore perché alla fine sceglieranno gli altri per te.
L’Italia è ambigua di per sé: è una questione geografica. Divisa fra Nord e Sud, due tradizioni e due vocazioni diverse sia commerciali che culturali. Diverse perché diverse nella storia questa volta millenaria. L’Italia è in grande la scissione che esiste in ognuno di noi spiegata nel mito del carro e dell’auriga nel Fedro di Platone.
Questo non decidere è quello che stiamo vivendo anche oggi.
Siamo il popolo più saggio, poetico e pazzo del pianeta.
Non siamo affatto astuti, gli astuti sono gli Inglesi.
Vorremmo convincere i funzionalisti Tedeschi e gli opportunisti Francesi con il fascino e le argomentazioni in punta di diritto di tale Conte?
Siamo matti, poetici, romantici.
Non ce la faremo.
È giusto provarci?
Forse si.
Per quanto la situazione sia inedita e quindi imprevedibile, qualcosa si può intuire.
Ci sono troppe forze avverse al mantenimento dell’Ue, un gioco Americano (moooooooolto meglio l’America che la Cina) sfuggito al controllo che non ha ragioni forti, etiche e morali (il vero potere delle comunità) per andare avanti.
Crollerà.
Il nostro tentativo è poetico ma è fallimentare.
Io cambierei strategia. Almeno sul modo di condurre i negoziati.
Dovremmo aprire un dibattito di grande e alto livello a livello Europeo.
I Leader politici dovrebbero coinvolgere i Popoli e  gli ultimi veri intellettuali rimasti e fare discorsi molto alti, veritieri, attraverso i media che dovrebbero approfondire tutti gli argomenti.
Non sperare nei negoziati nelle segrete stanze.
Qui nelle tenebre ci stiamo dentro tutti. Nessuno escluso.
E invece siamo ancora alla guerra interna fra fazioni.
Insomma. se non siamo capaci di costruire una nuova umanità
è molto meglio salvare i propri interessi e fare meno i romantici.
E avendo un’indole romantica, vi assicuro che mi costa molto dirlo.

Diego Antonio Nesci

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